Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/40

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l’agricoltura si chiamano a torto «studi»: questo nome contiene un non so che di severo, il quale mal si conviene a due scienze che contengono tanto diletto. E poiché ne’ licei e ne’ collegi è pur indispensabile ristorare lo spirito ed esercitare il corpo, quale ricreazione piú utile e, diremo quasi, piú santa di quella che offrono la botanica e l ’agricoltura ? Ispirare per tempo ai giovinetti il gusto per l’agricoltura è lo stesso che ispirar loro il gusto per la morale: quest’arte è non solamente la piú utile alla vita, ma la piú vicina alla sapienza. Ispirare per tempo ai giovani il gusto per l’agricoltura è Io stesso che renderli piú atti alle armi, e nel tempo istesso renderli piú attaccati alla patria, alle leggi, al sovrano. È un’osservazione di Aristotile, che, tra tutte le varie classi de’ cittadini, quella degli agricoltori è sempre la piú attaccata all’ordine ed alle leggi. E questa osservazione, ripetuta costantemente da quasi tutti gli scrittori, e specialmente da Cowley, non è stata giammai smentita dall’esperienza. 5. Filosofia razionale. — Questa contiene de’ precetti di logica e le prime linee di quella che chiamasi «metafisica». I precetti della logica sono il risultato delle osservazioni che noi stessi facciamo sulle operazioni del nostro spirito. Sembrerá un paradosso, ma pur è vero: per imparare a ragionare è necessitá aver ragionato.

Vi è stato un tempo in cui la logica non solo si credeva istrumento a tutte le scienze, ma una scienza universale la quale dovea formar l’occupazione di tutta la vita. Si sono scritti volumi infiniti, i quali si sono poi trovati tanto necessari a ragionar bene, quanto lo sono i grossi volumi di morale ad esser uomo onesto.

Vi è stato, al contrario, un altro tempo nel quale si è dimandato: — A che serve la logica? Lo spirito umano, simile al pendolo, prima di fermarsi nel mezzo, è necessitá che oscilli da un’estremitá all’altra. A che serve la logica? — Ad avvezzare la mente a risolvere le combinazioni difficili delle nostre idee, a riflettere sulle sue stesse operazioni. Noi non abbiamo che due sole specie d’idee, due sole classi di cognizioni: quelle che ci vengono da fuori, e quelle che noi stessi formiamo, osser-