Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/138

Da Wikisource.

Gli uomini saranno piú feroci e piú indipendenti. Che vuol dir questo? Si faranno piú spesso e per piú leggiere cagioni la guerra. Tali erano i tempi della feudalitá, de’ quali la memoria non so quanto debba esser cara all’Europa. E se quei tempi non sono piú, io, piú che alle crociate, piú che alla milizia permanente ed a tante altre cagioni esposte con tanta dottrina dai Robertson, Mably, Hume.ecc. ecc., l’attribuisco all’influenza che hanno cominciato ad esercitare, specialmente per le bagattelle, le capitali. Incominciò a piacere il soggiorno di Parigi; incominciarono tutti a prender le maniere de’ parigini ; e quel gran vassallo della corona, il quale contava tra i suoi diritti anche quello di «guerroyer son roi», inorridí all’idea di mover le armi contro la cittá dove «abitava il perucchiere della sua dama.

Le nazioni che non hanno una capitale non hanno mai perfetta unitá politica. Che manca difatti all’Austria per esser grandissima? Le federazioni si sciolgono, s’indeboliscono ben presto. Perché mai l’Italia perdette in un momento tutto il frutto della pace gloriosissima di Costanza? Perché ciascuna delle cittá italiane si volle considerare come socia delle altre, mentre tutte dovean riputarsi una sola; perché vollero oprar come i latini e divider l’impero che dovean godere in comune. Passato il pericolo, risorsero le antiche rivalitá; il nemico ne profittò; e quella pace, la quale dovea esser l’aurora di un bel giorno, fu come un lampo che passa in un momento ed è seguito da maggiore oscuritá. Che sono i pregiudizi di preminenza, che nascono e crescono all’ombra di un campanile, al paragone di cinque secoli di sciagure che nacquero da quella divisione?

Sciagure le conseguenze delle quali durano ancora, poiché quanto diversa non sarebbe stata l’Italia senza quella funesta divisione!

Eppure, dopo tanti secoli, l’errore, cagione del male, non è ancora dileguato da tutte le menti degli italiani, ed avviene tra noi come tra i primi cristiani di Corinto, de’ quali uno diceva: — Io son discepolo di Apollo; — un altro: — Io di Paolo; — un altro: — Io di Cepha. — Insensati che siamo!