Pagina:Cuoco - Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, 1913.djvu/116

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106 saggio storico

giugner oggi: impresso una volta il moto, si passa da un avveni- mento all’altro, e l’uomo diventa un essere meramente passivo. Tutto il segreto consiste in saper donde si debba incominciare.

Non si può mai produrre una rivoluzione, a meno che non sia una rivoluzione religiosa, seguendo idee troppo generali, né seguendo un piano unico. Mille ostacoli tu incontrerai ad ogni passo, che non si erano preveduti; mille contraddizioni d’interessi, che, non potendosi distruggere, è necessitá conciliare. Il popolo è un fanciullo, e vi fa spesso delle difficoltá alle quali non siete preparato. Molte nostre popolazioni non amavano l’albero perché non ne intendevano l’oggetto, e talune, che s’indispettivano per non intenderlo, lo biasimavano come magico; molte, invece dell’albero, avrebbero voluto un altro emblema. È indifferente che una rivoluzione abbia un emblema o un altro, ma è necessario che abbia quello che il popolo intende e vuole.

In molte popolazioni eravi un male da riparare, un bene da procurare per poter allettare il popolo: le stesse risorse non vi erano in altre popolazioni; né potevano la legge o il governo occuparsi di tali oggetti se non dopo che la rivoluzione era giá compiuta. Le rivoluzioni attive sono sempre piú efficaci, perché il popolo si dirige subito da se stesso a ciò che piú da vicino l’interessa. In una rivoluzione passiva conviene che l’agente del governo indovini l’animo del popolo e gli presenti ciò che desidera e che da se stesso non saprebbe procacciarsi.

Talora il bene generale è in collisione cogl’interessi de’ potenti. L’abolizione de’ feudi, per esempio, reca un danno notabile al feudatario; ma, piú del feudatario, sono da temersi coloro che vivono sul feudo. Il popolo trae ordinariamente la sussistenza da costoro; comprende che, dopo un anno, senza il feudatario vivrebbe meglio, ma senza di lui non può vivere un anno: il bisogno del momento gli fa trascurare il bene futuro, quantunque maggiore. Il talento del riformatore è allora quello di rompere i lacci della dipendenza, di conoscer le persone egualmente che le cose, di far parlare il rispetto, l’amicizia, l’ascendente che taluno, o bene o male, gode talora su di una popolazione.