Pagina:Cuoco - Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, 1913.djvu/87

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xiv - anarchia di napoli ed entrata de’ francesi 77

prima che essi assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre, che ai princípi bastasse sapere negli scritti pensare una cauta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne’ detti e nelle parole arguzia e prontezza, saper tessere una fraude, ornarsi di gemme e di oro, dormire e mangiare con maggior splendore che gli altri, tenere assai lascivie intorno, governarsi coi sudditi avaramente, superbamente, marcirsi nell’ozio, dare i gradi della milizia per grazia, disprezzare se alcuno avesse dimostrato loro alcuna lodevole via, volere che le parole loro fossero responsi di oracoli; né si accorgevano i meschini che si preparavano ad esser preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero nel 1494 i grandi spaventi, le subite fughe e le miracolose perdite; e cosí tre potentissimi Stati, che erano in Italia, sono stati piú volte saccheggiati e guasti». Non è meraviglia che gli stessi errori abbiano avuti nel 1798 gli stessi effetti e che un potentissimo regno sia rovinato nel tempo stesso, in cui, con ordini piú savi, tale era lo stato politico di Europa, dovea ingrandirsi. «La meraviglia è — continua Macchiavelli — che quelli che restano», anzi quegli stessi che han sofferto il male, «stanno nello stesso errore, e vivono nello stesso disordine».

La Cittá1 avea assunto il governo municipale di Napoli: erasi formata una milizia nazionale per mantenere il buon ordine. Il popolo ne’ primi giorni riconosceva l’autoritá della Cittá; tutto in apparenza era tranquillo: ma il fuoco ardeva sotto le ceneri fallaci. Pignatelli avrebbe dovuto avvedersi che il pericoloso onore, a cui era stato destinato, era forse l’ultimo tratto del suo rivale Acton per perderlo. Egli avrebbe potuto vendicarsi del

  1. «Cittá» si chiamava in Napoli un’unione di sette persone, delle quali sei erano nobili ed una popolare. I nobili erano eletti dai cinque «sedili», tra’ quali era divisa tutta la nobiltá del Regno (il sedile di Montagna ne eliggeva due, i quali però aveano un voto solo), e questi sedili erano succeduti alle «fratrie», in una cittá che fino all’undecimo secolo era stata greca. Il popolare avrebbe dovuto esser eletto dal popolo, che avea un sedile solo, ad onta che fosse mille volte piú numeroso de’ nobili; ma era eletto dal re. Questa Cittá rappresentava nel tempo stesso e la municipalitá di Napoli ed il Regno intero. Quando nel governo viceregnale furono aboliti i parlamenti nazionali, la Cittá rimase depositaria de’ privilegi della nazione. Ma sotto Ferdinando quarto la Cittá era rimasta un nome del tutto vano.