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110 gennaio

Sovrintendente guardò con attenzione quel visino color di cera, quel piccolo corpo insaccato in quei panni rimboccati e disadatti, quegli occhi buoni e tristi, che sfuggivano i suoi, ma che lasciavano indovinare una storia di patimenti, poi gli disse con voce piena di affetto, attaccandogli la medaglia alla spalla: - Precossi, ti dò la medaglia. Nessuno è più degno di te di portarla. Non la dò soltanto alla tua intelligenza e al tuo buon volere, la dò al tuo cuore, la dò al tuo coraggio, al tuo carattere di bravo e buon figliuolo. Non è vero, - soggiunse, voltandosi verso la classe, - che egli la merita anche per questo? - Sì, sì, - risposero tutti a una voce. Precossi fece un movimento del collo come per inghiottire qualche cosa, e girò sui banchi uno sguardo dolcissimo, che esprimeva una gratitudine immensa. - Va’, dunque, gli disse il Sovrintendente, - caro ragazzo! E Dio ti protegga! - Era l’ora d’uscire. La nostra classe uscì avanti le altre. Appena siamo fuori dell’uscio... chi vediamo lì nel camerone, proprio sull’entrata? Il padre di Precossi, il fabbro ferraio, pallido, come al solito, col viso torvo, coi capelli negli occhi, col berretto per traverso, malfermo sulle gambe. Il maestro lo vide subito e parlò nell’orecchio al Sovrintendente; questi cercò Precossi in fretta e, presolo per mano, lo condusse da suo padre. Il ragazzo tremava. Anche il maestro e il Direttore s’avvicinarono, molti ragazzi si fecero intorno. - Lei è il padre di questo ragazzo, è vero? - domandò il Sovrintendente al fabbro, con fare allegro, come se fossero amici. E senz’aspettar la risposta: - Mi rallegro con lei. Guardi: egli ha guadagnato la seconda medaglia, sopra cinquanta-