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dagli apennini alle ande 269

migliorò, grazie alle cure del capataz, e guarì; ma con la guarigione sopraggiunse il giorno più terribile del suo viaggio, il giorno in cui doveva rimaner solo. Da più di due settimane erano in cammino. Quando arrivarono al punto dove dalla strada di Tucuman si stacca quella che va a Santiago dell’Estero, il capataz gli annunciò che dovevano separarsi. Gli diede qualche indicazione intorno al cammino, gli legò la sacca sulle spalle in modo che non gli desse noia a camminare, e tagliando corto, come se temesse di commuoversi, lo salutò. Il ragazzo fece appena in tempo a baciargli un braccio. Anche gli altri uomini, che lo avevano maltrattato così duramente, parve che provassero un po’ di pietà a vederlo rimaner così solo, e gli fecero un cenno d’addio, allontanandosi. Ed egli restituì il saluto con la mano, stette a guardar il convoglio fin che si perdette nel polverìo rosso della campagna, e poi si mise in cammino, tristamente.


Una cosa, per altro, lo riconfortò un poco, fin da principio. Dopo tanti giorni di viaggio a traverso a quella pianura sterminata e sempre eguale egli vedeva davanti a sé una catena di montagne altissime, azzurre, con le cime bianche, che gli rammentavano le Alpi, e gli davan come un senso di ravvicinamento al suo paese. Erano le Ande, la spina dorsale del continente Americano, la ca-