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264 Cuore infermo

fino; le labbra scarlatte si schiudevano come la polpa rossa di un fiore carnoso. I molti gioielli non la offuscavano, nè essa li vinceva; non vi era lotta fra loro. La luce della bellezza si fondeva con quella delle gemme.

Era giunta alle nove. Appena seduta al suo posto, girando lo sguardo intorno, era stata salutata ed aveva salutato. Tutte le sue amiche erano colà, in giro. Amalia Cantelmo, in lilà — colore di rimorso — coi fiori rosa, e con Roberto Giordano che aveva ricominciato a farle la corte. Fanny Aldemoresco, in rosso arrabbiato, con un aspetto serio, accanto a sua suocera che era con lei; la Giansante, in stoffa turca, col fazzoletto turco sui capelli; la Filomarino, scollacciata fino alla follia, con la sua grand’aria innocente e superba di donna tizianesca; la San Demetrio, vecchia, disfatta, con le spalle curve e rugose, le braccia molto fresche; la Massanzio in un palchetto di Corte; le signorine Mormile, dall’aria candida e stupida; ed altre ed altre ancora. In un palco, sola, vestita semplicemente di raso nero, con preziosi merletti bianchi, busto chiuso al collo, un abbigliamento sobrio e ricco, Lalla D’Aragona, pallida, gli occhi incavati, labbro stirato da uno spasimo nervoso. Lalla si teneva un po’ indietro, nella penombra. Come vide comparire Beatrice, rimase incantata a guardarla; quella luce l’affascinava. Qualcuno che si nascondeva nel fondo del palco, le dovette chiedere qualche cosa, perchè ella rispose senza volgere il capo. Beatrice vedeva tutto questo: più che vederlo lo sentiva. Ella ricercò suo marito nelle poltrone di orchestra: vi era suo padre, tutti gli amici, tutte le conoscenze, Marcello no. Tornò a guardare nel palco di Lalla e le parve scorgere, molto in fondo, il profilo di suo marito. La sorte dunque li riuniva un’altra volta come sempre.