Pagina:Cuore infermo.djvu/295

Da Wikisource.

Parte sesta 295

— Tanto meglio allora, un tormento di meno. Non credi che Collemagno le sia andato dietro?

— Può darsi. Si dovrebbero sposare quei due.

— Perchè ella ammazzi anche Paolo? Pietà per lui, cara. Bah! un matrimonio è una fine poco misteriosa al romanzo della contessa ammalata.

— Non c’è bisogno di finirlo il romanzo, lo si continua, cara Fanny.

— Tu ne parli come di un libro — esclamò l’altra, ridendo. — In fondo sono del tuo parere. In confidenza, la D’Aragona non ti spaventa più?

— No; per nulla — rispose Beatrice, con la massima semplicità.

— Doveva esser così. Vinto, atterrato, debellato il nemico. Grande battaglia, grande vittoria!

— Sei belligera — disse l’altra, con un lieve sorriso.

— Sicuro. Non vi pensiamo più. Amalia la vedi? Sono tre settimane che non ne ho notizie.

— Qualche volta. È tutta dedita alle lotterie di beneficenza, alle scuole dei ciechi, ai sordo-muti.

Connu la beneficenza! Ci si occupa, ci si dà l’aspetto sentimentale, si ha l’occasione di sfoggiare acconciature e di sentirsi nominare nei giornali come un angelo di carità. Per me vi ho rinunciato sempre. Fo il bene da me sola. Ma che hai a cavar sempre l’orologio?

— Si fa un po’ tardi... e Marcello...

— Comprendo, comprendo, la mia donnina. Va allora. Ma non abbandonarmi, sono sempre sola.

— Cioè, sola?

— Voglio dire... sola no... vi è il pensiero; capisci... ma quando vi sarà lui...

Per le scale del palazzo Aldemoresco, Beatrice si sentì riprendere dall’ansietà. Aveva obliato, per un mo-