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322 Cuore infermo

cose che aveva a Napoli. Non si quietò che a poco a poco, quando Marcello le promise che tutto sarebbe venuto all’indomani, come al fanciullo si promette quanto desidera per non farlo piangere più. Nei giorni seguenti si rimise alquanto; sentendosi meglio, scese nel parco a passeggiare; nel risalire la scala, dovette fermarsi più volte, perchè non poteva respirare. Solo dopo una mezza settimana di riposo potette tentare l’impresa di salire sul terrazzo per la scaletta a chiocciola, dagli scalini troppo alti. Marcello l’accompagnava, come sempre, dandole il braccio, portandola quasi. Lì sopra sedette nella stanzetta rotonda e girava lo sguardo intorno a ritrovare ed a ricucire i brandelli laceri del suo passato. Stettero lungo tempo colà. Marcello era agitato, oppresso, provando nell’anima un subitaneo rimorso, il rimorso di tutto il passato che rinasceva possente in quei luoghi dove si era svolto. Due volte fu sul punto di parlare, di dire a Beatrice: perdonami. Lo trattenne una falsa vergogna, un vivo timore di suscitare una scena dolorosa. Poi Beatrice aveva l’aspetto placido. Certo, ella non pensava a tutto questo; sarebbe stato cagionare veramente una crisi di ricordi, di rimpianti. Non parlò; non se ne pentì che più tardi.

— Apri il pianoforte, suona qualche cosa, Marcello.

— La pigra! Saresti tu a dover fare della musica.

— Tu sai bene che non posso, amore — rispose ella, con un pallido sorriso.

— Appena lo potrai, mi renderai ad usura quello che mi devi.

E con quella grazia svelta del gran signore cui tutto è facile, egli si pose a suonare qualche cosa di molto vivace.