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352 Cuore infermo

Era strano; non gli spiaceva parlare di lei con quella donna; non gli pareva di offenderne la memoria.

Lalla sfogliava una rosa, cospargendo la terra delle foglie staccate. Un venticello sorgeva che faceva gonfiare il suo velo. Pareva che fosse caduto il suo sorriso perfido, la piega crudele di quelle labbra tormentate e tormentatrici.

— ... Voi avete molto sofferto.

— Oh sì! — ed un grande pallore gli si cosparse sul viso.

— ... L’amavate.

— Non abbastanza... non credo di averla amata abbastanza... — balbettò lui, discovrendo la sua piaga.

— L’amavate. Sempre l’avete amata. È stato il vostro unico amore. Io ve lo dissi.

— Oh! non ricordate... — pregò egli, coprendosi il viso con le mani.

— Avete orrore di quel tempo? — domandò ella con la sua voce vibrante di dolore — eppure anche allora l’amavate. Ma non ve ne rammentate forse? Avete dunque tutto obliato? Chi cercavate in me se non lei? Non vi spingeva il desiderio di ritrovarla? Se ciò vi cruccia, quietatevi. Non potevate amarla di più, nè meglio.

E spezzò nelle sue mani il gambo della rosa. Egli aveva chinato il capo. Accettava quel conforto. Si trovava smarrito, perduto, debole come un bambino, e non pensava alla singolarità di quella consolazione, alle labbra donde usciva.

— Di chi portate il lutto? — chiese egli, dopo un poco.

— Di una persona che amavo.

— E vi è morta?

— Morta, morta. Dovunque io vada, non la ritroverò più.

— Vi amava ella?

— Credo. Eravamo in tre ad amarci. Lo sapete bene.

Egli la fissò, sorpreso per la prima volta.

— Non vorrete parlarmi di lei?