Pagina:Cuore infermo.djvu/47

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Parte prima 47

Passavano le vetture di terza e di seconda classe: la gente in piedi, pallida, stanca, insofferente, impaziente, abbottonava i soprabiti, aggiustava gli scialli, prendeva gli ombrelli, i bastoni, i piccoli bagagli dalle reti dei vagoni. Ma di fronte allo sportello degli sposi venne a fermarsi una vettura di prima classe, un salone come il loro. Dentro, una donna giovine, sola, col viso bruno, magro, ammalato, imbellettato; sul tappeto un libro caduto, rimasto aperto; sui divani gittati a caso un fazzolettino di battista, un gruppo di fiori appassiti, uno scrignetto di lacca; la donna dietro il cristallo, seduta, come se non avesse nessuna intenzione di scendere. Ella fissò uno sguardo nero e lungo nella vettura degli sposi; per un sol momento quei tre personaggi si guardarono. Ella arrivava, essi partivano.

Marcello, mentre la macchina raddoppiava i suoi sbuffi, pensava e sperava e sorrideva a sè stesso e si affidava all’amore.

— Tanto l’amerò, tanto l’amerò... — diceva tra sè, con la bella fiducia dei cuori onesti ed affettuosi.

Certo, Beatrice non pensava nulla di questo. Certo, se nell’anima ella portava una cura segreta, vi portava anche la sua forza ed il suo coraggio.


Vi è un momento nella nostra vita che è il punto culminante di essa. Ci si arriva per gradazioni insensibili, per vie oblique; vi si arriva ciechi, inconsci, senza un sol presentimento. Si vive quel momento come tutti gli altri; solo, dopo di esso, la domanda oscura dell’avvenire ha voluto la sua risposta: tutto è deciso. E, molto tardi, sempre troppo tardi, rinasce nell’uomo la coscienza del grande momento vissuto; rinasce solo il ricordo, l’irrimediabile ricordo.