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96 | Cuore infermo |
chiate, vestite a colori vivaci, con la pettinessa di argento; bambinaie con la cuffietta e il grembiule bianco; cameriere vestite con l’abito smesso e il cappellino vecchio della signora, rimodernato; allegre compagnie di fanciulletti vispi, belli, vestiti di flanella bianca, coi cappelli buttati indietro sulle testoline, si perseguitano, corrono dietro al loro cerchio, saltano intorno alla trottola. Qualche signora è seduta all’ombra del suo ombrellino, solitaria, con lo strascico raccolto intorno alla sedia di ferro. Una fanciulla francese legge a suo padre il Figaro. E lontano, nell’ultimo viale, presso il mare, nel sole, passa il carrozzino-letto, spinto a mano da un servo, coperto da un manto di velluto azzurro con gli stemmi ricamati agli angoli, dove una principessa toscana, bionda, rosea, ventenne, fa trascinare il suo bel corpo paralizzato.
I due amici camminavano in silenzio lungo il viale più vicino alla strada. Erano andati su e giù due volte, senza ritrovare Lalla D’Aragona. Paolo Collemagno che, entrando nella Villa, era molto nervoso e parlava a scatti, veniva ora dominato da una viva inquietudine. Era un giovane molto alto, robusto, più forte che bello, con una testa possente, una criniera bionda e riccia, gli occhi di un azzurro di porcellana, il volto un po’ corto, ma corretto da una barba alla Enrico IV, fulva e riccia. Marcello gli veniva daccanto, guardando anche lui pei viali, cominciando ad essere tormentato dal desiderio di vedere Lalla D’Aragona.
— Eccola — egli disse ad un tratto.
— Dove, dove?
— Laggiù, a dritta della musica, sotto un albero.
— Sì, sì, hai ragione.
Ed affrettarono il passo.