Pagina:D'Annunzio - Canti della guerra latina, 1939.djvu/151

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33. Piange inginocchiato su la sua tonaca logora ai ginocchi, lacera agli orli che scoprono i piedi suoi scalzi. Lacrima, e non s’ode. Tanto ama, e rompersi non s’ode il suo petto.

34. Entra una barella che porta un soldato con la benda su gli occhi, con una gamba prigione tra due assi grezze. Ed è come il mendico di Gerico, Bartimeo. È come l’infermo della piscina, l’uomo di Betesda, sul letto.

35. Forse non sa ch’egli è cieco. E dice anch’egli forse nel cuore: «Figliuolo dell’uomo, abbi misericordia di me.» Ed ecco appesa gli è al collo, con un frusto di corda, la tabella ov’è scritto il male e il destino.

36. Ma d’improvviso entra per lo squarcio irto di travi tronche una rondine spersa, l’ultima rondine; e nel silenzio getta un grido, due gridi. Sorvola l’altare. Sorvola le macerie, lo strame, le piaghe, l’ambascia, l’attesa. Getta un grido, due gridi. Dà un guizzo di luce. Ha seco il mattino.

37. E il Santo rapito si volge alla creatura di Dio, con ferme su la faccia le lacrime come