Pagina:D'Annunzio - Canti della guerra latina, 1939.djvu/192

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Patria! Il terribile e dolce nome chiamare voglio.
20Sono ebro. Odo il tuono e il rombo. Chi mai sul Campidoglio
percote lo scudo raggiante?
Il giubilo è una rapina bella, un ratto felice.
E il cielo è tanto a noi chiaro, sol perché Beatrice
rivede sorridere Dante.
 
25Come chi chiama la luce pel suo nome divino,
come chi chiama la luce pel suo nome e al mattino
comanda che nasca dal mare,
o Patria, così ti chiama colui che trascolora
di dolcezza e di spavento. Non tu sembri un’aurora
30che abbia volontà di cantare?
 
Palpiti come un’ aurora colma di melodia,
come un’aurora chiomata d’astri ignoti, che sia
apparsa alla soglia del mondo.
Dalle calcagna possenti fino alle rosee dita
35non sei se non il preludio della novella vita,
una nell’alto e nel profondo.
 
E nel profondo e nell’alto sei tu stessa l’aurora
a cui ti facemmo sacra con l’aratro e la prora
quando la notte era su noi.
40La notte pallida s’apre come si squarcia un velo.
Sei tutta la luce; e nella luce cantano il cielo
il mare la terra e gli eroi.