Pagina:D'Annunzio - Il libro delle vergini.djvu/116

Da Wikisource.

favola sentimentale 111

spezzati e di gemme rompenti, sotto la grandine allegra di quelle risa e di que’ ritornelli.

          O! o! totus floreo.

Egli scattò in piedi. Quella fredda solitudine l’opprimeva; egli la odiava, quella solitudine...

— Entrate, dottore, entrate — fece la voce cristallina della baronessa.

Con che felice audacia il torso della baronessa si staccava dal vecchio fondo biancastro a fiorami rossi! Dai fini lobi delle orecchie i cerchi d’argento a contrasto del tôno bruno delle gote le pendevano zingarescamente; e su le gote una pelurie lievissima le fioriva, ombreggiando anche il labbro superiore, lievissima.

— Senti, Galatea, bambina; facciamo la pace — sussurrò ella con un accento pieghevole e carezzevole. — Andiamo giù, nel viale; andiamo al sole, con Cesare... Vuoi venire?

— No, zia; lasciami qui. Non posso andare al sole, io — rispose Galatea, sommessa.

— Venite voi, Cesare? — Chiese Vinca al giovine; Cesare le offrì il braccio, inchinandosi.