Pagina:D'Annunzio - Il libro delle vergini.djvu/44

Da Wikisource.

le vergini 39

in certe ore, a quella altezza e facevano tremare d’orrore le povere spose di Gesù chine in umiltà su i tegami d’argilla pieni dell’eremitica innocenza dei legumi e delle verdure. Ma ora, al novel tempo e gaio, come un giorno udì Giuliana le voci, una voglia nell’animo le corse di spinger la vista fuori.

Camilla non stava nella casa; era la domenica quinta di Lazzaro. Urgeva nell’aria, dopo le brevi piogge, con un più dolce alito di calore l’imminenza dell’aprile; e in quell’aria la pulzella più aveva pieno e chiaro il senso del suo rinascimento. E, in ozio, girando per le stanze, ebbe ella naturalmente la curiosità di guardare, presa al fascino malsano che li spettacoli di lascivia esercitano anche su li animi verecondi.

Ella salì su una sedia all’altezza dell’apertura; ma prima di spingere lo sguardo innanzi, fu invasa da un turbamento di tremiti, e ritta su la sedia si volse intorno temente se non qualcuno la sorprendesse nell’atto.

Intorno tutto era quieto: ogni tanto una gocciola d’acqua cadeva dall’alto in un bacile, sonando. Di fuori salivano le voci ed allettavano.

Giuliana, rassicurata, guardò. Nel vicolo, sotto la pioggia il fracidume aveva fermentato come un lievito; una melma nera copriva il lastrico, ove spoglie di frutta, residui di erbe, stracci, ciabatte