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le vergini 89

Una fievole serenità d’argento si levò su la Majella, in una zona sottile.

Giuliana tentava di correre verso la quercia distante un tiro di fucile. Le gocce le battevano su la nuca, le scivolavano per la schiena, le colpivano la faccia; e già le vesti erano tutte molli sino alla pelle. I passi le mancavano su’l terreno sdrucciolevole: ella cadde e si rialzò, due volte. Poi, quasi folle, si mise a gridare verso la casa.

— Aiuto! aiuto!

Una femmina uscì dalla porta e venne a sorreggerla, seguita da due cani che abbaiavano.

Giuliana si lasciò condurre machinalmente, senza poter più proferire una parola a traverso i denti serrati, livida, con la faccia stravolta. Ella non si riscosse che dopo qualche tempo, per le domande che l’ospite le faceva. E allora, repentinamente, all’udire il nome di Spacone, si risovvenne di tutto.

— Ah, dov’è Spacone? — chiese.

— È a Popoli, donna santa: l’hanno chiamato.

Giuliana non resse più: cominciò a singhiozzare e a strapparsi i capelli.

— Che volete, donna santa? che volete? Io sono la moglie; ci son qua io.... — miagolava la strega, trattenendole i polsi, incitandola a parlare.

Giuliana esitò un momento; poi disse tutto, a precipizio, tra i singulti, coprendosi la faccia.

7 — Il libro delle vergini.