Pagina:D'Annunzio - Isaotta Guttadauro, 1886.djvu/149

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Idillii 143


Sale dubbio vapor su da li stagni,
che in alto a l’aria forme truci assume;
a fior de l’acque bollono le schiume;
or sì or no da ’l limo escono lagni.

Ma balzan, di desir tutte vermiglie,
le rose in tra le zampe a ’l palafreno
e baciano a la bella dama il seno
o la mano che tien salda le briglie.

E la Luna talor, nuda le spalle,
a l’aereo veron d’oro s’allaccia
e graziosa a lei mostra la traccia
segnando cerchi magici su ’l calle.

Ella cavalca. E, poi ch’è giunta a ’l loco,
lascia d’un salto il ben gemmato arcione.
A lei li arnesi de l’incantagione
porgono i vecchi. Ell’è trepida un poco.

Or prima, i quattro venti a richiamare,
battendo ad arte con le lunghe dita
sovra una spera concava e polita,
fa la rossa mandrágora cantare.

Quindi, girando in ritmo agile a danza
tre volte su ’l sinistro piè leggiere,
coglie al fine, con risa di piacere,
l’unico fior de la dimenticanza.