seguon l’esempio e con i bianchi fiori
attingon l’acque d’or, ridendo forte.
Tutte, in un tempo, bevono a ’l lucente
vespero, inebriate,
quasi Bacco le linfe abbia cangiate
in vin di Scio, da’ regni de la morte.
Suonano a torno i lieti ribechini.
Così tu vai, piacente Primavera,
navigando ne ’l vespero, per l’almo
fiume onde Amore sorse;
e i gigli tratti dietro il paliscalmo
vestono forme, ne la dubbia sera.
Non calano da’ rotti argini forse
le ninfe a ’l Latamone?
Questa, piena di donne e di canzone,
non è l’isola bella di Citera?
Non sei tu dunque iddia ne’ tuoi domini?
Questa è l’isola bella: non la tiene
però Venere. Isotta ha signoria,
Isotta Biancamano,
su la verde Brolangia solatia
ove reine clementi e serene
vissero a lungo, in tempo assai lontano,
e amaron poetare.
Qui non s’ode Bacchilide cantare,
non Saffo, non Alceo di Mitilene.
Ma s’odono i leuti fiorentini.