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notturno 163

di battesimo. Era un soldato della mia terra d’Abruzzi. Balbettava, voleva sapere che avessi.

Ero stanco e digiuno, allo stremo della mia forza. Prima di ammettermi nella camera oscura per esaminarmi, il medico mi fece distendere sopra una branda coperta d’un lenzuolo di bucato. Mi coricai supino. L’onda violacea palpitava nell’occhio perduto, e l’altro s’abbagliava nella vertigine. Socchiusi le palpebre. Con un tonfo di disperazione nel petto, udii passare su l’asilo il rombo d’un’ala da battaglia. Il rombo portò via il rimanente della mia forza. Mi diceva: «Non più! Non più! Non più!».

Allora lo scalpiccìo e il mormorìo mi avvertirono che i feriti forzavano la soglia. Allora i feriti a un occhio si appressarono, e stettero accanto alla branda. I feriti a tutt’e due gli occhi vennero anch’essi, e rimasero intorno alla branda. Tacevano. Li