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notturno 13


Ora il mio corpo è in una cassa, disteso e costretto.

Ieri il mio spirito si squassava come una grande aquila presa in una tagliuola. Oggi è raccolto, attento, sagace.

Ma il cuore batte senza misura.

Palpo la carta. La mano che tiene la matita è convulsa, quasi dolorosa.

A un tratto, nel campo ardente dell’occhio m’apparisce la figura di Vincenzo Gemito, quale la vidi nei primi tempi della sua follia, salendo alla sua prigione su per un’erta petrosa e abbagliante ove branchi demoniaci di capre mordicchiavano l’erbe arsicce.

Lo vedo, in una stanza angusta come una cella, agitarsi tra porta e finestra col movimento continuo della fiera in gabbia.

Una gran testa chiomata e barbata di profeta impazzito al vento del deserto, mal sostenuta da un corpo esile e curvo su due gambe rotte dalla fatica e tenute in piedi da una resi-