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Pagina:D'Annunzio - Notturno.djvu/409

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notturno 397

vuota, dove io avrei voluto mettere il mio lettuccio di ferro. Quando potevo sfuggire alla vigilanza, scendevo col cuore palpitante ed entravo dalla parte del cortile. Aquilino, riconoscendo il mio piccolo passo, nitriva leggero come per evitare che altri udisse e s’accorgesse. Ogni volta il mio piacere era tanto che lasciavo andare le cocche del grembiule.

Allora il nitrito tremolava d’impazienza; e, mentre raccoglievo il pane le mele lo zucchero e tutto quello ch’era la mia merenda e tutto quello che avevo potuto arraffare alla dispensa pel mio compagnino goloso, mi saziavo del mio sorriso che era di non so che specie nutriente non assaporata più mai.

Una porta della stalla dava nella rimessa. La rimessa restava quasi sempre nell’ombra, rischiarata dalla luce di cappella che scendeva dai vetri colorati della rosta. C’era la gran carrozza degli sponsali coperta,