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creavano nella stalla chiusa non so che fantastica lontananza. E quello sguardo nero che Aquilino teneva sempre fisso su me masticando, e quella sua figura sfacciata dalla macchia bianca e rosea del labbro mobile come il muso del lepratto, e quel suo dimandare con un fremito delle froge bramoso quando aveva finito, e quel suo mordicchiarmi dispettoso all’òmero quando io per aizzarlo nascondevo il resto dietro il dosso, e tutti quei suoi modi di duplice grazia a poco a poco confondevano in me la mia specie con la sua e mi fatavano.

«Ti do anche questo, se mi ti lasci prendere un crino, se mi ti lasci prendere due crini, se me ne lasci prendere tre.»

Mi ricordo che dovetti vincere un poco di vergogna e un poco di rimorso nel punto di strapparglieli. Sentiva male? Sapeva che mi servivano a fare il cappio per le rondini della gronda?