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La balaustrata, i vasi, i putti di pietra biancheggiano come la neve.

Di là dal canale i palazzi delle donne belle e famose tacciono abbandonati. Tutte le finestre del palazzo Da Mula sono chiuse, la casa mozza di Corè ha più che mai un’apparenza di rovina incantata. I cipressi sopravanzano le grandi bugne su cui pendono i tappeti della vite vergine.

Da quella scala che ora è un’ombra di velluto, in un plenilunio d’estate che sembra remotissimo, esciva la mascherata condotta dall’Arlecchino bianco che portava sopra l’òmero un pappagallo azzurro e a guinzaglio una di quelle piccole pantere che sul Citerone, nell’orgia notturna, popparono le mammelle delle Menadi gonfie d’un latte subitamente affluito.

O Fantasia, che dei tempi e delle distanze fai il tuo giuoco audace!

Mi par di vedere su la scala del palazzo tronco l’Arlecchino bianco, disegnato con l’arte del Longhi per-