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notturno 435

Passomezo di Vincenzio Galilei, Intrada anglicana, Volta ursina, Pavana lacrimata. Gagliarda passionata, Gagliarda di Diomede...

Mi riapparisce Arnold Dolmetsch, e quella sua piccola compagna, olandese di origine spagnuola, giacinto di Harlem bruno come il rosario di Filippo II dipinto da Juan Pantoja, chiamata Melodia.

A Zurigo, andavamo in un’abetina solitaria rischiarata dalla luce delle navate gotiche. Arnoldo portava seco un suo liuto costrutto in Venezia da Magno Steger, simile alla carena della galèa, fasciata di doghe alterne, chiare e scure, straordinariamente leggero. Col liuto accompagnava il canto della sua compagna graziosa, dopo aver detto: «Non sa cantare. È il suo più gran merito.»

Egli teneva davanti a sé la custodia dello strumento in guisa di leggìo, con l’intavolatura sopra. Appoggiata al tronco di un abete vestito di mu-