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472 notturno


Per la prima volta m’è concesso di scendere nel giardino.

Un vigore fittizio mi solleva. Con un’allegrezza fanciullesca abbandono i vestimenti senili dell’invalido. Ridivento un Lanciere bianco.

Le mie brache di cavaliere, così bene aggiustate al ginocchio, ora fanno qualche piega. Con un palpito di speranza rivedo su le maniche della giubba le insegne del volatore, le ali d’oro arrossate dalla salsedine dell’Adriatico. Mi sembra di fiutare l’odore dell’altezza. Questi panni grigi conobbero l’azzurro di là dalle nuvole, rimasero sospesi a quattromila metri nel deserto dell’aria, contennero l’estasi di dedizione che parve fermar l’ala nel cielo di Trento ingombrato dalla tempesta e squarciato dai fulmini di due ire. I talismani erano nella tasca dalla parte del cuore: il vecchio anello di mia madre, che porta per gemma un piccolo