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la morte di sancio panza. 143

gaja; sopra la collottola le crespe erano più grandi e più tonde; i lembi delle labbra ai lati della mandibola superiore pendevano flosciamente; e il povero animale aveva ora nella malattia quel non so che di grottesco insieme e di compassionevole che hanno gli uomini nani oppressi dall’adipe e dall’asma.

Le fanciulle dinanzi a quell’abbattimento restavano mute, invase da un rammarico immenso, colpite da un presentimento della sventura; poichè Sancio era stato per molti anni la loro cura amorosa, l’oggetto delle loro blandizie e dei loro vezzi, lo sfogo innocuo delle loro mollezze e delle loro tenerezze di adolescenti clorotiche. Sancio era nato e cresciuto nella casa: e con quelle forme tozze e pesanti di razza imbastardita, con quelle rotondità di bestia eunuca oziosa e golosa, a poco a poco aveva nelli occhi tondi uno sguardo pieno di umanità e di devozione; agitava vivamente il tronco della coda nelle ore di gioia, reggendosi su tre gambe sole e tutto raggomitolandosi con un singolare tremolio del pelame e trotterellando con la grazia d’un porcellino d’India in mezzo all’erbe primaverili.

I belli ricordi ora travagliavano li animi delle fanciulle.