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la contessa d’amalfi. 169

lo imitarono. Un momento tutti quelli uomini sussultarono d’uno stesso riso rauco e incomposto, in diverse attitudini.

‟Pagate tre soldi di fichi se ve lo dico?”

Don Domenico, ch’era tirchio, esitò un poco. Ma la curiosità lo vinse.

‟Be’, pago.”

Verdura chiamò una femmina e fece ammonticchiare sul suo desco le frutta. Poi disse:

‟Quella signora che stava là sopra, Donna Viuletta, sapete?... Quella del teatro, sapete?...”

‟Be’?”

‟Se n’è scappata stamattina. Tombola!”

‟Da vero?”

‟Da vero, Don Domè.”

‟Ah, mo capisco!” esclamò Don Domenico, ch’era un uomo fino, sogghignando crudelissimamente.

E, come voleva vendicarsi della contumelia di Don Giovanni e rifarsi dei tre soldi spesi per la notizia, andò subito verso il casino per divulgare la cosa, per ingrandire la cosa.

Il casino, una specie di bottega del caffè, stava immerso nell’ombra; e su dal tavolato sparso di acqua saliva un singolare odore di polvere e di muffii. Il dottore Panzoni russava abbandonato