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176 | la contessa d’amalfi. |
lirico di Giovanni Peruzzini; e le parole, uscendo dalla sua bocca, acquistavano una rotondità ciceroniana. Li altri sulle sedie si agitavano con maggiore o minore importanza. Il dottore Panzoni lottava in vano contro le lusinghe del sonno e di tanto in tanto faceva un remore che si confondeva con il la delli stromenti preludianti.
— Pss! psss! pssss! —
Nel teatro il silenzio divenne profondo. All’alzarsi della tela, la scena era vuota. Il suono d’un violoncello veniva di tra le quinte. Uscì Tilde, e cantò. Poi uscì Sertorio, e cantò. Poi entrò una torma di allievi e di amici, e intonò un coro. Poi Tilde si avvicinò pianamente alla finestra.
Oh! come lente l’ore |
Nel pubblico incominciava la commozione, poichè doveva essere imminente un duetto di amore. Tilde, in verità, era un primo soprano non molto giovine; portava un abito azzurro; aveva una capellatura biondastra che le ricopriva insufficientemente il cranio; e, con la faccia bianca di cipria, rassomigliava a una costoletta cruda e infarinata che fosse nascosta dentro una parrucca di canapa.