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288 la fattura.


Si rivòlse, a quella voce agra, il Ristabilito che non anche aveva terminato di distribuire. Però, vedendo La Bravetta tutto contorcersi, disse con suon di benevolenza:

‟’Mbé, quelle forse ere troppe cotte. To’! Ècchene n’áutre. ’Nglutte, Peppe!”

E con due dita gli cacciò in bocca la seconda pillola canina.

Il pover’uomo la prese; e, sentendo sopra di sè fissi li occhi maligni e acuti del capraro, fece un supremo sforzo per sostener l’amarezza; non masticò, non inghiottì; stette con la lingua immobile contro i denti. Ma, come al calore dell’alito e all’umidore della saliva l’aloe si discioglieva, egli non poteva più reggere: le labbra gli si torsero come dianzi; il naso gli si empì di lacrime; e certe gocciole grosse gli cominciarono a sgorgare dal cavo delli occhi e a rimbalzar, come perle scaramazze, giù per le gote. Alfine, sputò.

‟Ohe, Mastre Pé, e mo che ccazze fiè?” garrì di nuovo il capraro, mostrando in un suo ghigno le gencive bianchicce e vacue.”Ohe, e queste mo che signífeche?” Tutti i villici ruppero l’ordine, e attorniarono La Bravetta: alcuni con risa di beffa, altri con parole irose. Le ribellioni di orgoglio subitanee e