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298 il martirio di gialluca.

vernando il timone, lanciando di tratto in tratto una voce nella tempesta:

‟Va a basse, Giallù!”

Gialluca, per una strana ripugnanza a trovarsi solo, non voleva discendere, quantunque il male lo travagliasse. Anch’egli si teneva alla corda, stringendo i denti nel dolore. Quando veniva una ondata, i marinai abbassavano la testa e mettevano un grido concorde, simile a quello con cui sogliono accompagnare un comune sforzo nella fatica.

Uscì la luna da una nuvola, diminuendo l’orrore. Ma il mare si mantenne grosso tutta la notte.

La mattina Gialluca, smarrito, disse ai compagni:

‟Tajiáte.”

I compagni prima s’accordarono, gravemente; tennero una specie di consulto decisivo. Poi osservarono il tumore ch’era eguale al pugno di un uomo. Tutte le aperture, che dianzi gli davano l’apparenza di un nido di vespe o di un crivello, ora ne formavano una sola.

Disse Massacese:

‟Curagge! Avande!”

Egli doveva essere il cerusico. Provò su l’unghia la tempra delle lame. Scelse infine il coltello