Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/104

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capitolo viii. 101

municazione fra di loro, ma soltanto per un andito comune. Ginevra, entrando nella camera ove solevano passare insieme la maggior parte del giorno, trovò Zoraide occupata ad un telajo, e lavorando cantava una canzone in lingua araba piena di tuoni minori, come tutti i canti de’ popoli del mezzogiorno. Guardò un momento il ricamo e diede un sospiro (era un mantello di raso azzurro trapuntato d’argento che facevano insieme, destinato a Fieramosca), poi si pose a sedere ad un balcone, ombreggiato da pampini, che guardava verso Barletta. Il sole s’era allora nascosto dietro le colline di Puglia. Poche strisce di nuvole stavano su pel cielo tutte accese al lampo solare, simili ai pesci d’oro notanti in un mar di fuoco. La loro immagine correva in lunga lista riflessa dall’onde, solcate qua e là da qualche vela di pescatori, che un leggiero levante spingeva alla spiaggia. L’occhio della giovane era fisso al molo del porto che aveva in faccia, dal quale spesso vedeva staccarsi una barchetta e venir verso l’isola.

Oggi essa la desidera più del solito, le pare che debba portarle una decisione; e qualunque sia, nel suo stato, sarà sempre un guadagno. Ma quei momenti d’aspettazione le parevano pur lunghi ed amari! Vorrebbe Ettore già presente, vorrebbe che avesse già udite parole tanto ardue a pronunziarsi: s’egli tardasse o non venisse, domani sarà ella ancor forte abbastanza?

Un punto oscuro che appena mutava luogo non tardò a comparire sul mare vicino al lido. Dopo un quarto d’ora s’era accostato, ingrandito, e quantunque appena si potesse distinguere che era un battello condotto da un uomo, Ginevra lo riconobbe e sentì darsi una stretta al cuore. Per una subita rivoluzione di tutte le sue idee, le parve ad un tratto impossibile dirgli ciò che un momento prima aveva, o credeva