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176 | ettore fieramosca |
jano, ma, avvezzo com’era ad aprirsele in tutto non riuscì ad infingersi tanto che ella non s’avvedesse essere nel di lui cuore riposto un segreto del quale non voleva metterla a parte.
Dall’altro canto i modi tanto diversi di Zoraide le erano come una spina che non poteva svellersi dal cuore. E pensava: Chi m’assicura che Ettore anch’esso non abbia indovinato? chi m’accerta ch’egli non la curi? E quando da tutti questi argomenti cercava dedurre una conseguenza, si smarriva in un laberinto di dubbi senza trovare il filo ad uscirne.
Stanca la mente da tanto travaglio s’alzò per trovar con chi parlare e distrarsi, e cercò di Zoraide; in casa non v’era: scese in giardino, neppure; domandò nel monastero ai pochi rimasti, e nessuno sapeva ove fosse. Si sentì una stretta al cuore e mille sospetti indefiniti le si affollarono alla mente; nel far questa ricerca s’era trovata presso la torre che difende l’entrata dell’isola. La vide abbandonata e nemmeno un uomo di guardia; tutti, partito il Conestabile, erano andati uno ad uno a goder delle feste. Passò il ponte e camminò un tratto lungo la spiaggia, avendo il mare a destra, ed a sinistra l’erta del monte rivestita di folti cespugli. Passeggiava a passo lento e colla mente troppo ingombra di pensieri per potersi occupare di ciò che accadeva intorno a lei. Fu a un tratto sorpresa da uno strepito che udì tra le frasche; e quindi sbigottita, vistone uscir un uomo, il quale reggendosi a stento, coperto di cenci insanguinati, tutto lacero da rovi, coi capelli lunghi arruffati che gli ingombravano il volto, le cadde in ginocchio ai piedi: ella ebbe il pensiero di fuggire, ma come ardita ed animosa rimase; e, guardando quello che tanto stranamente le era comparso davanti, venne a poco a poco raffigurando il capo-banda Pietraccio, che, secondo la traccia data da D. Michele, essa involontaria-