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— Sono partita per tempo con Gennaro e....

— E, disse Ginevra sorridendo, jer sera non sapevi che volevi andare alla giostra?

Questa interrogazione tanto dritta aggiunse una tinta di dispetto al volto di Zoraide, che rispose brevemente: — Sì.... avevo così un’idea; poi ripreso il filo che l’era stato interrotto, da gran tempo, disse, desideravo vedere una di queste giostre per poter giudicare se veramente siano poi tanto al disopra dei giuochi degli Arabi. Ma viva Dio! da noi ciò che fanno qui i cavalieri ed i signori, si farebbe far dagli schiavi e nessuno de’ nostri capi esporrebbe la vita per divertire tre o quattro migliaja di spettatori dell’infima plebe.

Ginevra accorgendosi che Zoraide per non aver a dare altri schiarimenti sulla sua gita volea mettere innanzi il discorso della giostra, non si curò d’insistere e disse: — Insomma la giostra è stata bella?

— Bella? e come! prese a dir Gennaro, che si moriva di voglia di servire esso di storico, e cominciò dall’uscita di Consalvo, e descrivendo il meglio che poteva la ricchezza e le gale di quei baroni; poi coll’idea di farle cosa grata le diceva scuotendo il capo, e stringendo le labbra, nel mentre che le sue mani facevano girare e rigirare la berretta in cento modi. E se aveste veduto vostro fratello come stava a cavallo, su quel bel puledro color d’argento; tutti dicevano, che bel giovane! e per dir la verità con quel vostro mantelletto azzurro era proprio una pittura. Mi son voluto ammazzare tra la folla per seguitar la cavalcata fuor di porta! Ci voleva buoni gomiti, ve lo dico io, sì.... ma quando la figlia del signor Consalvo è scesa di lettiga, ero accosto come da me a voi: e il signor Ettore l’ha messa a cavallo.... cioè dirò meglio, essa gli ha appoggiato un piede sul ginocchio, un piedino così, vedete! (e per mostrarne la misura stendeva il pollice