Pagina:D'Urso - Guerra e malaria, Milano, 1918.djvu/33

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In attesa che dalla guerra esca una forte e numerosa schiera di piccoli proprietari — gli oscuri militi delle trincee — diamo tutta la nostra opera a curare i reduci malarici e diamo vita alla istituzione dei Sanatorii.

Tra le flagranze dei castagni, dei faggi, dei pini dei nostri monti, come nei tesori di sole, di aria, di acque delle nostre limpide marine noi possediamo le armi migliori per affrontare e vincere il secolare nemico della salute e della vita dei nostri lavoratori delle terre — che si sono resi ben degni di essere sacrati alla felicità — aveo sempiterno — come tutti coloro, che Patriam conservaverint, adiuverint, auxerint!

Lo Stato non deve essere avaro dei suoi mezzi — e non deve spegnersi la fiamma della solidarietà nazionale!

L’esercito... dei contadini (non dico soltanto i meridionali) continuerà a combattere con fede ed indomito ardore, ma deve sapere che tutta la Nazione seco palpita, soffre, combatte; che i suoi eroici sacrifìci saranno compensati; che tutti i cittadini, rimasti in casa, hanno la stessa fede, lo stesso ardore, lo stesso impeto di sacrifizio!

Oggi, nell’ora avversa, ma non meno ricca di gloria, i nostri doveri vanno raddoppiati!

Per i combattenti e per i reduci quello che hanno fatto lo Stato e la Nazione non è poco, ma bisogna fare di più! Occorrono virtù più vive, più intense, più operanti. Occorrono sacrifizii maggiori: ogni nostra privazione è un nulla al confronto dei pericoli di chi trovasi sulla linea del