Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/81

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padrone di casa e l’altre da due dame tratte a sorte, onde decider del modo in cui quel danaro doveva impiegarsi. Come il padrone di casa doveva esser rultimo, cosi lasciò che le due donne fosser le prime: una di quelle propose una gita in islilta a Gradisca, l’altra una mascherata a cavallo. 11 buon conte, dopo aver narrata la cagion della mia partenza, propose che il danaro raccolto in quel vaso fosse offerto a me per le spese del viaggio da Gorizia a Dresda. Un «si» e un «no» doveva decidere della cosa. — Slitta 1 — gridò allora il conte. Un «no» generale fu la risposta. — Mascherata! — Un «no» piú forte e piú sonoro del primo. — Da Ponte a Dresda ! — Si, si, si! — rimbombò per tutta la camera. La moglie del conte, angelo di bontá piuttosto che donna, prese allor quel vaso per romperlo; ma alcune altre damine della societá offersero di aggiungervi qualch’altra moneta, e il loro esempio fu da tutti con molta soddisfazione seguito. Gittò allora il conte Strasoldo, ch’era ultimo offerente, quel vaso a terra, e tutti a gara s’unirono a raccogliere quel danaro, a porlo in un bel fazzoletto di seta, che la padrona di casa avea in pronto, e si volle che ella medesima mi presentasse quel dono. Ella mel presentò con queste parole:

— Signor Da Ponte, accettate questa offerta de’ vostri amici goriziani. Possiate aver tante felicitá nel paese ove andate, quante monete sono in questo fazzoletto. Ricordatevi qualche volta di noi, che noi ci ricorderemo di voi molto spesso. — Si aspettava ch’io rispondessi; ma io era si confuso e si sopralatto da questa rara scena di bontá, rii generositá e tl’una non equivoca stima e benevolenza, che mi fu impossibile aprir bocca. Il conte ringraziò per me quella nobilissima compagnia, e il mio silenzio disse assai piú di tutto quello ch’avrei potuto dire parlando. Fui inteso, e la delicatezza del mio core ne fu applaudita. Tutte queste grazie produssero in me un effetto si meraviglioso, che per tutta quella notte non feci che piangere al solo pensiero di dover lasciar una cittá, dove io era si ben trattato da tutti i buoni e dove giunsi talvolta a stimare me stesso. Il conte Torriani s’accorse, al tempo della colazione, della fiera battaglia da cui era la mia anima combattuta ; mi condusse