Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/169

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Immensi eran suoi rami ; e a l’ombra loro cori sedean d’innumerabil gente. Ma, surgendo repente nembo meridional fin da la sterpe, quell’arbor sterpe, e a me lascia soltanto la memoria crudel cagion di pianto. Spari la pianta; e, dove sua radice fu svèlta, usciva un’onda che in un momento divenia gran fiume. Non fu pria vista altrove si stabil mai né si infinita sponda: difendeala da l’alto armato un nume. Di regni era coverta, e un santo lume spandeasi in quelli da l’augusta fronte. Intanto entro la fonte di quel fiume reale ardea tal fiamma, che dramma a dramma consumava Tonde, e una notte d’orror copria le sponde. Stupido innalzo il ciglio e ruotar veggio per gli aerei campi di bicipite augello estrania forma. Stringea col doppio artiglio quadro volume, e a’ rai de’ sacri campi vi si vedea su scritto: «Io son sua norma». Suo becco era una spada, ond’ampia torma di molteplici augei parea sicura: quando da nube oscura, che appena occhio scopria, fischiando sorte folgor di morte, che l’augel distrugge. Langue Natura, il sol s’eclissa e fugge. Gridar volea; ma vidi vasto colosso alzarsi a me davante, che avea sul suolo e il mare i piedi suoi. Veniali da vari lidi, adorator divoti a le sue piante, unni, lombardi, marcomanni e boi: cosa eterna a me parve, e mai tra noi gloria non vidi a le sue glorie uguale. Quanto è caduca e frale mortai grandezza! In quell’altèro masso »