Pagina:Da Ponte - Don Giovanni, 1867.djvu/6

Da Wikisource.
6
Caro signor padrone,

La vita che menate è da briccone.
Gio. Temerario! in tal guisa?...
Lep.   E il giuramento?
Gio. Non so di giuramento. Taci, o ch’io...
Lep. Non parlo più, non fiato, o padron mio.
Gio. Così saremo amici. Or odi un poco:
Sai tu perchè son qui?
Lep.   Non ne so nulla.
Ma, essendo l’alba chiara, non sarebbe
Qualche nuova conquista?
Io lo devo saper per porla in lista.
Gio. Va là, che sei il grand’uomo! Sappi ch’io sono
Innamorato d’una bella dama,
E son certo che m’ama.
La vidi, le parlai; meco al casino
Questa notte verrà... Zitto: mi pare
Sentir odor di femmina..
Lep.   Cospetto...
Che odorato perfetto!
Gio. All’aria mi par bella.
Lep. (Che occhio, dico!)
Gio. Ritiriamoci un poco.
E scopriamo terren.
Lep. (Già prese foco), (vanno in disparte)

scena v.

Donna Elvira dalla locanda.

Elv. Ah! chi mi dice mai

  Quel barbaro dov’è,
  Che per mio scorno amai,
  Che mi mancò di fé?
Ah! se ritrovo l’empio.
  E a me non torna ancor,
  Vo’ farne orrendo scempio.
  Vo’ trapassargli il cor.
Gio. Udisti? qualche bella (piano a Lep.)
Dal vago abbandonata... Poverina!
Cerchiara di consolare il suo tormento, (avanzandosi)
Lep. (Così ne consolò mille e ottocento.)
Gio. Signorina...
Elv.   Chi è là?
Gio.   Stelle! che vedo!
Lep. (Oh bella! Donna Elvira!)
Elv.   (Don Giovanni!...)
Sei qui, mostro, fellon, nido d’inganni!...
Lep. (Che titoli cruscanti! Manco male
Che lo conosce bene!)
Gio. Ah! cara Donn’Elvira
Calmate quella collera... sentite...
Lasciatemi parlar...
Elv.   Cosa può dire
Dopo azion si nera? In casa mia
Entri furtivamente. A forza d’arte.