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148 | giulio verne |
correva pei diversi Stati dell’Unione. E però Barbicane non aveva più alcuna ragione di tacere. Egli dunque riunì i suoi colleghi presenti a Tampa-Town, e senza lasciar trasparire il suo pensiero, senza discutere del maggiore o minor grado di credenza che si meritava il telegramma, ne lesse freddamente il testo laconico.
«Non è possibile! - È inverosimile! - Puro scherzo! - Ci hanno preso a giuoco! - Ridicolo! - Assurdo!» Tutta la serie delle espressioni che servono ad esprimere il dubbio, l’incredulità, la sciocchezza, la follia, si svolse per alcuni minuti, con accompagnamento dei gesti soliti in simile circostanza. Ognuno sorrideva, rideva, alzava le spalle o scoppiava dalle risa, secondo la propria disposizione d’animo. Il solo J. T. Maston uscì con parole superbe:
«È un capriccio come un altro!» esclamò.
- Sì, gli rispose il maggiore, ma se è talvolta permesso di aver idee di tal fatta, gli è a patto di non pensare neppure a metterle in esecuzione.
- E perchè no? replicò vivamente il segretario del Gun-Club, pronto ad entrare in discussione. Ma non si volle più oltre istigarnelo.
Intanto il nome di Michele Ardan già circolava nella città di Tampa; gli stranieri e gl’indigeni si guardavano, s’interrogavano e pigliavano a scherzo, non già l’europeo, - un mito, un essere chimerico - ma J. T. Maston, che aveva potuto credere all’esistenza di questo personaggio da leggenda. Quando Barbicane propose di mandar un proiettile alla Luna, a tutti parve impresa na-