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voci nel buio 137


era tornato dal capoluogo del collegio con tante notizie elettorali. C’eran fuori gli avvisi per una riunione da tenersi quel giorno stesso e si aspettava Cortis. Anzi il signor Checco Zirisèla era partito con l’idea di andare anche lui a udirlo.

«Credo» soggiunse il prete «che abbia telegrafato da Milano al suo gastaldo e che domani lo aspettino a casa.

Fu allora che la contessa Tarquinia pensò di mandare il vetturale a pigliarlo. Ell’aveva fede in Daniele Cortis. Gli direbbe tutto, gli chiederebbe consiglio. Già quell’egoistone di Lao non pensava che a’ suoi reumi.

«Lei, contessa, lo saprà bene dov’è andato quel campanile di quel signor Daniele» chiese ex abrupto don Bortolo.

«Non lo so» rispose asciutta la contessa.

«Guardate, corpo, che combinazione!» esclamò quegli alzando ed allargando le braccia. «Una contessa ch’è una contessa, non lo sa, e a Villa lo sa anche la serva dell’arciprete.

«Dunque, dov’è andato?

«Dunque, dunque, dunque... La fa da oca, Lei, signora contessa. Lo sa meglio di me. No? Bene. A Lugano, è andato. E sa a trovar chi? La santa donna di sua madre che a noi ci hanno dato a bere che fosse morta e poi era viva questa gran...!

La contessa non parve molto sorpresa. Aveva sempre dubitato di questo. E aborrendo da qualunque relazione con sua cognata, preferiva quasi che Cortis non avesse detto niente.

«Come lo hanno saputo?» diss’ella.

«Che è andato a Lugano si sa dalle persone di