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scambiarsi gli ultimi ringraziamenti. Borse, ombrelli e mantelli erano già accatastati sul tavolino rustico.

«Come sei pallida, Elena!» disse la contessa. Anche il senatore la trovava un po’ pallida; più bella, però, se possibile. La contessa era in collera con Cortis ch’era fuori e non si sapeva dove. Un bell’originale anche lui, però! Il senatore lo scusò; Elena tacque. La contessa entrò in sala, le accennò di seguirla.

«Cos’hai?» diss’ella piano. «La Bettina mi dice che certo devi avere qualche cosa.

«No, no, niente, niente» rispose Elena, e le sfuggì subito, ritornò in loggia, domandò se non fosse ora d’attaccare.

Mancavano dieci minuti alle sette e mezzo.

«A proposito!» esclamò la contessa Tarquinia. «Ho visto che porti via un baule, nientemeno.

«Sai» rispose Elena, «porto in città tante cose che mi è inutile di tener qui.

Cinque minuti ancora e la carrozza tempestò sulla ghiaia, entrò fragorosamente sotto il portico. Era chiusa, perchè piovigginava ancora.

«Dunque, cara contessa...» cominciò il senatore.

Elena ebbe paura di non reggere, si rifugiò in carrozza subito, senza salutar sua madre, si rannicchiò in un angolo.

«La baronessa ha premura» disse poi il senatore, sopravvenendo.

Era appena a posto quando la cameriera corse a dire che il conte Lao aveva udita la carrozza e mandava a vedere se il signor senatore volesse venirlo a salutare un momento. La contessina, no; non la voleva.