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Anche la contessa Tarquinia aveva detto a suo genero prima di andare ai giardini: sarete contento, adesso! Non c’era dubbio, dunque, che l’intento non fosse raggiunto; ma pure il barone avrebbe amato sapere qualche cosa di più.

Le ombre del giardino diventavano sempre più lunghe, il vino correva a rivi nell’angolo tra la fattoria e i lauri e metteva quindi nelle trombe e nei tromboni di Villascura una foga sempre più indiavolata. Davanti alla banda, sul prato, ballavano i signori; i contadini ballavano più lontano. L’infaticabile Perlotti, inzuppato di sudore, voleva far ballare Elena a ogni patto, faceva mille smancerie. Elena, annoiata, stava per liberarsene con una parolina secca, quando sua madre si interpose.

«Lasciatemela un poco anche a me» diss’ella «che stasera la perdo.»

Madre e figlia s’allontanarono insieme per la stradicciuola che corre lungo un ruscello, di là dalla fattoria, fra il prato e i campi.

In presenza della gente la contessa era sempre tutta tenerezza con sua figlia, benchè questa vi rispondesse freddamente; da sola a sola si teneva molto più in riserbo, non avendo comuni con Elena nè le idee, nè le inclinazioni, sentendola superiore moralmente e intellettualmente a sè, e conscia in qualche parte di certe galanterie passate che la contessa, col suo buon cuore, si perdonava senza sperare uguale indulgenza dalla puritana figliuola. Ella si dolse con Elena di non poter passare con lei, con lei sola, almeno quelle poche ultime ore. Ma com’era possibile, con tanti ospiti, in un giorno simile? Se ne voleva ricompensar largamente in ottobre. Raccomandò ad