Pagina:Danzi - Poesie scelte in dialetto potentino.djvu/9

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racconta del gelo che gli corse nelle vene quando vide, per la prima volta, nel gennaio del 48, il tricolore in mezzo alla folla, in istrada. Nella stessa poesia, che è fra le più belle, riproduce la gioia dei Potentini per la costituzione che doveva avere vita così corta.

Nella sua ingenuità il Danzi cerca di scusare il Re, tratto in inganno dai mali consultori e consiglia ai giovani per l’avvenire ogni risolutezza, a costo della vita.

Dopo dodici anni il Danzi ritrova la sua vena che, forse, la reazione borbonica gli aveva fatta inaridire: festeggia il sessanta, ma con quanta paura, con quante riserve:

Si so spine noi li scansamme
Si so rose hanne da iurì.

E dopo un curioso epitalamio (la festa nazionale) in cui celebra le nozze della vagnarda (l’Italia) cu lu zito (Vittorio Emanuele) segue un gruppo di poesie, scritte fra il 61 ed il 66, nelle quali il Danzi si fa eco del disagio generale negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione.

Troppe speranze si erano fatte balenare e troppo profondo era stato il mutamento, oltre che nella politica, nell’economia, nei costumi, nelle abitudini della vita.

La reazione borbonica è argomento di due poesie: una sulla morte di Boryes del 61, e una del 63, indirizzata alla Commissione Parlamentare venuta a Potenza a studiare i mezzi per debellare il brigantaggio. In questa sostiene che i briganti.

Sì, gne so: ma so oneste
a cunfronte de queddi tali
ca pe fa li i libberali
solo pensano d’arrubbà.