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come negli altri corpi fanno. Si toccano i corpicelli dell’aria l’un l’altro, ma non s’accostan per tutto, tramezandoli certi intervalli di vòto come la rena del greto, i cui granellini son come dire que’ corpicelli dell’aria; e l’aria ch’è tra i granellini son que’ vòti che l’aria ha in se. Ora e’ può venire una forza che faccia quest’aria ristrigner e ritirare nei luoghi di que’ vòti, pigiando e stivando i suoi corpicelli oltra loro natura: e la forza cessata, torna l’aria in sua agiateza per natural contesa de’ corpi suoi; non altramente che i brucioli delle corna e le spugne rasciutte ristrette nel pugno, le quali come e’ s’allarga ritornano in loro grandeza e tengono il solito luogo. Medesimamente se alcuna forza discosta troppo i corpicelli dell’aria l’un dall’altro, e tra lor lascia maggior vòto del naturale; essi corrono a ritrovarsi velocemente, come quegli che non trovano intoppo nè ritegno per lo vòto cammino. Per questa cagione se tu prendi una guastada e succi l’aria che vi è dentro, e lascila; ella ti rimarrà appiccata alle labbra: perchè quel vòto per riempiersi tira la carne a se. Fanno il medesimo cotali ampollette di vetro a guisa di pepaiuole, fatte per trastullo de’ fanciulli, che succiatone l’aria quanto si può, e messo il buco nell’acqua incontanente, ella corre all’insù contra natura, e sì le riempie».

Scriveva in Roma a’ 2 di giugno 1863

                                                  giuseppe spezi