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232 Altarana

UNA DELUSIONE.


Il maestro fu doppiamente felice dell’accaduto, poichè vedeva finire il martirio di quella povera creatura e cominciare insieme un periodo di pace, in cui sperava ch’ella si sarebbe lasciata andare con lui all’amore del quale gli aveva dato un pegno così caro e così triste in quel momento di disperazione. E la prima sera che la vide sul terrazzino, colta l’occasione, col coraggio di chi crede la sua passione corrisposta, e con ardente tenerezza, le aprì tutto l’animo suo, carezzando le dita ch’essa aveva messe tra gli stecconi del cancello, e sostando per riprender l’alito in fin d’ogni frase. E le parlò a lungo, supponendo che ella tacesse per la commozione: le fece comprendere bene che a lui quell’affetto doveva riempir tutta la vita, che essa era veramente la creatura che egli aveva sempre sognata come compagna della sua esistenza, che non avrebbe più potuto rinunziarvi, senza perdere ogni speranza di felicità, e anche di pace, per sempre. E dette le ultime parole, baciò quelle dita con ardore. E stette ad aspettare, trepidando, cercando di riconoscere l’espressione del suo viso già velato dall’oscurità.

Il suono della voce che gli rispose gli strinse il cuore alla prima parola. Ahimè! Non era la voce d’un’amante.

— La ringrazio, caro signor Ratti, — rispose la maestra con un accento dolce di mestizia; — io le sarò sempre grata con tutta l’anima.... Lei è stato un fratello per me.... Senza di lei, non avrei forse avuto la forza di soffrir tanto.... Se l’occasione si presentasse, non potrei mai fare abbastanza per sdebitarmi.... Le voglio bene, e glielo posso dire.... Ma quello che lei dice.... è impossibile.

Il giovine, costernato, ripetè quell’eterna e insensata domanda degli innamorati non corrisposti: — Perchè?

La ragazza mise un sospiro.

— Perchè.... — rispose lentamente, con accento di tenerezza quasi materna.... — La mia vita è già fissata.