Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/244

Da Wikisource.
236 Altarana

[l]oFonte/commento: ed. 1890 cacciò dalla scuola, e quegli essendo ritornato con suo padre, ne seguì un diverbio in faccia alla classe, che gli scemò ancora la poca autorevolezza che gli restava. E quanto più questa gli scemava, tanto più egli cresceva in violenza. Arrivò presto a far l’atto di percuotere, poi a percuotere, prima leggermente, e poi sodo. N’ebbe la prima volta un pentimento amaro, poi vi fece l’assuefazione. Ma ne esperimentò subito i mali effetti. Con la violenza egli faceva una scolaresca di violenti. I ragazzi si scambiavano per la strada le ingiurie ch’egli scagliava loro nella scuola, e i giorni ch’egli batteva qualcuno, essi si tiravan dei calci fra di loro per una parola o per uno sguardo. Né, battendo, otteneva maggior obbedienza di prima. Si persuase in pochi giorni di quella gran verità che aveva inteso enunciare alla Scuola: che nella lotta col maestro collerico e manesco, il ragazzo, il quale intuisce che l’ira è debolezza, poichè non nasce da altro che dal dispetto di non sapersi far rispettare altrimenti, finisce sempre con vincere. Avendo egli riposto il potere nella mano, il suo sguardo e la sua voce non avevano più forza; quando faceva un rimprovero, i ragazzi gli guardavan la mano, e fin che quella non si movesse, sorridevano, e la stessa percossa con cui oggi egli rimetteva un alunno al dovere, non bastava più il giorno dopo, e gli bisognava rinvigorirla. E per quanto egli fosse inasprito, l’atteggiamento di cani battuti e percossi che assumevano al suo avvicinarsi gli alunni, lo umiliava. Vedeva che i caratteri si pervertivano e perdevano ogni dignità, e dagli sguardi dei ragazzi capiva che il solo sentimento durevole che destava in loro la percossa era, dopo quello della paura e del dolore, quel della vendetta. Già ne aveva una decina a cui leggeva in viso di continuo il proposito di fargli o presto o tardi del male. Perciò li odiava, e soffriva. E se qualche volta lo pigliava il rimorso, e tentava di tornar quello di prima, pacato e benevolo, notava subito nella scolaresca un atteggiamento di trionfo e di scherno, come in un nemico a cui si rendan l’armi per paura, e quell’atteggiamento gli risollevava nel cuore l’acrimonia e la collera. La scuola gli era diventata un supplizio, ed egli era infelice.