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Uno scandalo 67

tanto più che il Cavezzi, mercante di legna, mancava da Altarana da un mese.


E benchè v’avesse molto sofferto, il Ratti lasciò Altarana con dolore, principalmente a cagione della sua buona vicina, per la quale la simpatia dei primi giorni, l’amore, l’ammirazione per la sua vita eroica, tutti i sentimenti sopiti gli si risvegliarono in cuore al punto di partire. Suo padre era da oltre un mese quasi agli estremi, e in quelle angustie venivano ad aiutarla varie ore ogni giorno la buona figliuola del pizzicagnolo, che era già quasi una giovinetta, e la contadinella delle stelle di montagna; e tutte le sere, quando si accomiatavano, essa le teneva tutt’e due abbracciato per un pezzo, giù per la scala, al buio, premendosi le loro teste sul petto, senza parlare. Al momento d’uscir di casa per andarle a dire addio, egli la vide dalla finestra sul terrazzino, ritta contro la ringhiera, pallida, disfatta dalle notti vegliate e col pensiero della sventura imminente segnato sulla fronte come una percossa; ma salda e quasi altera contro il dolore, pronta ad accettarlo, risoluta a soffrirlo tutto senza cercar conforto e senza lagnarsi con Dio. Essa stava col capo alto e con gli occhi fissi lontano, come se guardasse col pensiero le migliaia di bambine a cui avrebbe d’allora in poi consacrata intera la vita, tutta pensierosa dell’unico e santo dovere che le rimaneva da compiere, dopo quell’altro del pari santo, che aveva così nobilmente compiuto, e che stava per finire. Vedendola così triste e assorta, il giovane non ebbe cuore di aggiungerle a quell’angoscia il turbamento d’un addio, che le avrebbe ridestato dei ricordi dolorosi. La guardò per un po’ di tempo di mezzo alle tende della finestra, le lasciò un saluto per iscritto, e uscendo per sempre dalla propria camera, le mandò un bacio non veduto, un bacio dolce e triste a quella bocca in cui era tutta la sua gentilezza, e da cui erano uscite tante nobili parole che gli avevan fatto del bene e ch’ei non avrebbe scordate mai più.



Il romanzo d’un maestro. — II. 5