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I martiri della ginnastica 135

chiede scusa in cuor proprio, nell’atto medesimo che se ne sorride. Quei poveri vecchi acciaccosi, quelle maestre dai capelli grigi e quei preti guardavano l’insegnante e gli attrezzi, e udivano e ripetevano quelle parole nuove e eteroclite dei comandi, con una cert’aria di stupefazione e d’inquietudine, come se gli avesse condotti là il capriccio tirannico di qualche ministro mezzo matto; non potendo capacitarsi in alcun modo del come quegli strumenti di tortura e tutta quella rappresentazione burattinesca dovessero giovare alla scuola e alla rigenerazione del popolo. Si fermavano a mezzo dei movimenti per un nodo di tosse o per una fitta di dolore reumatico, si guardavan l’un l’altro, prima di eseguire un comando, nessuno osando d’essere il primo, e ad ogni mossa un po’ scomposta, alcuni si tastavano i panni per sospetto di sdruciture, altri davano dei traballoni: tutti facevan la spinta delle braccia in alto in una certa maniera, come se dicessero: — Signore Iddio misericordioso, liberateci voi da questo martirio. — E mentre i cinquantenni intozziti invidiavano i pochi colleghi giovani che avevano ancora le membra pieghevoli a quel lavorìo, erano essi stessi oggetto d’invidia ai vecchi di settant’anni, che stentavano a reggersi in equilibrio; e questi alle maestre loro coetanee, alle quali pareva che nei vecchi maschi, pur essendo ridicola, la ginnastica non fosse almeno, com’era per loro, una cosa indecente. Fra le maestre in special modo, quando si dovevan presentare di fronte alla squadra a ripetere i comandi, ce n’era che provavano una tal suggezione, che perdevan la testa, e dovevan ripetere dieci volte il comando più semplice, e moriva loro la voce tra i denti. La maestra insegnante diceva: — Animo, signora! Siamo qui fra colleghe; non c’è motivo di vergognarsi; bisogna farsi una ragione. — Ma era come raccomandar la disinvoltura a un crocifisso. La maestra Manca di Piazzena, fra l’altre, alla terza lezione, dovendo eseguire un movimento davanti alle compagne, fu presa da una così forte confusione, che non le riuscì d’alzare le braccia, e rimase lì col mento sul petto e con gli occhi a terra, come paralizzata. — Ma perchè non eseguisce! — le domandò la insegnante. E quella rispose con voce fioca, scoraggita: — Non so.... non oso...