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202 Bossolano

quando era rimproverato per non saper la lezione, a fargli dei finti cenni d’intelligenza, come per far credere che fosse convenuto fra loro due che il rimprovero fosse una semplice formalità, fatta per non parere; e il bello era che dava ad intender questo ai suoi parenti, i quali venivano, contenti e stupiti, a ringraziare il maestro delle immeritate preferenze che usava al loro marmocchio.

Ma uno anche più originale, e che veramente gli rallegrò tutto l’anno scolastico, era un certo Fusta, di sette anni, figliuolo d’un ciabattino; uno spirito comico d’una precocità maravigliosa, una delle più bizzarre figure di ragazzo ch’egli avesse mai veduto: piccolo anche per i suoi sette anni, tutto pancia, colle gambe arcate, con la voce nasale; una faccia di buon parroco flemmatico rimpicciolita, seria e buffa ad un tempo. Costui aveva dei modi, delle risposte, delle scappate di cui doveva rider per forza anche il Ratti, in faccia a tutta la classe. Egli s’era rivelato fin dai primi giorni, una volta che il maestro, vedendogli fare un cenno di rimprovero a un suo vicino, gliene aveva chiesto il perchè: egli aveva risposto pacatamente, senza smetter di scrivere e senz’alzar gli occhi dal quaderno: — Niente, signor maestro, una cannonata. — E questa gravità ridicola d’uomo maturo l’aveva in ogni occasione. A un compagno che lo urtava nella schiena passando sul banco per andare al cesso, diceva, serio, interrompendo la lettura del sillabario: — Passi, cavaliere. — Una mattina, essendo arrivato a lezione incominciata, e rimproverandolo il maestro, si fermò in mezzo alla scuola, e rispose gravemente, con un’espressione di comicissimo risentimento: — Mia madre vuole ch’io faccia le commissioni prima di venire a scuola; qui mi sgridano se arrivo tardi: uno non sa più come regolarsi. — Avendogli domandato un’altra mattina il maestro perchè non avesse studiato la lezione, egli rispose con dignità: — Mi hanno purgato. — Ma già n’aveva una tutti i giorni. A capo di due mesi di scuola il Ratti non lo poteva più guardare senza ridere, e s’era ridotto a non interrogarlo più che di rado, per non dare egli il primo alla scolaresca il segnale dell’ilarità. Se n’avesse avuto una mezza dozzina di quello stampo, non avrebbe potuto far scuola.