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A Torino 237


In quegli otto giorni; visitando più volte i suoi fratelli; ch’erano già due giovanotti, e l’uno lavorava da tipografo, l’altro da intarsiatore, il Ratti ondeggiò con affanno continuo fra la speranza d’aver fatto una riuscita splendida e la quasi certezza d’aver sbagliato i lavori di sana pianta. La notte prima della sentenza non dormì. La mattina era già nei dintorni della scuola un’ora prima che s’aprisse. E con lui era un va e vieni d’anime in pena che andavano a tentar l’uscio ogni cinque minuti e spiavano con occhio ansioso i bidelli che fumavano nel giardino, i professori che passavan per la strada, persin le finestre chiuse dell’edifizio. Quando la porta s’aperse vi si precipitò dentro un’onda di candidate, di parenti e d’amiche, mandate là dalle maestre che non avevano avuto il coraggio di venire in persona. I nomi degli ammessi ai verbali erano scritti per ordine alfabetico in un piccolo quadro calligrafico, appeso accanto all’uscio del camerone. Ahimè! quanto era breve l’elenco! Per un quarto d’ora il Ratti non vi si potè avvicinare: a ogni persona che si levava di là, due sottentravano; si sentivano esclamazioni di sdegno, lamenti, mormorazioni; dei padri e delle madri se n’andavano col viso accigliato, borbottando; delle signorine uscivan pallide; più d’una con gli occhi pieni di lacrime, tenuta pel braccio da una parente o da un’amica, che cercava di consolarla; e parecchie tornavano indietro, per accertarsi meglio che il loro nome non ci fosse, animate ancora da un barlume di speranza. Ma in quel momento il Ratti era chiuso a ogni pietà; fu vinto anzi tutt’a un tratto da un impeto d’impazienza brutale, e si cacciò avanti, facendosi largo coi gomiti, e riuscì a penetrare fino alla prima fila, e a sporgere il capo al di sopra d’un cappellino che gli stuzzicò il mento con le penne; e provò la sensazione che fa un soffio d’aria fresca a un moribondo d’asfissia.... Ratti Emilio! Il suo nome era là. Mise un lungo respiro, che gli tirò addosso vari rapidi sguardi d’invidia, e tornato a far forza di braccia, uscì, così felice, che non si ricordò nemmeno di cercare il nome di Lérica nè di domandare ad altri se ci fosse.


E fu anche più contento la sera quando seppe che